La ristampa del cd d’esordio di Toni Bruna «Formigole» da parte dell’etichetta di Vigevano, Niegazowana, ha portato il cantautore triestino all’attenzione del pubblico e della critica nazionale. Le recensioni sono state sorprendenti, commenta Toni Bruna: «Questo progetto è partito senza nessuna aspettativa e quindi avere dei riscontri così, mi ha emozionato molto. Ho avuto dei momenti davvero di estasi… Momenti brevi eh! Ma di estasi pura. Senti per un attimo che sei arrivato da qualche parte, che tutti gli sforzi che hai fatto per tanto tempo (e che magari ti eri già convinto che lo stavi facendo solo per te stesso e pochi altri), in qualche modo si concretizzano in un riconoscimento che fa bene all’anima. Mi è piaciuto molto che le persone dicessero che si sente che è un disco sincero. Quello è il più bel complimento. Che è una cosa sincera, istintiva, personale. Anche perché vedo tanta roba finta in giro, tanto scimmiottare altre cose».
Scrive il recensore di Nerds Attack!: «”Formigole” è probabilmente il disco [italiano] più commovente ed intenso che io abbia mai ascoltato negli ultimi dieci anni almeno (…) un disco altissimo. Oltre il bieco cantautorato da grande magazzino, frasi fatte e barbe finte. Viene voglia di non sapere altro. Di non conoscere altro. Viene voglia di piangere». Maps scrive: «Il connubio tra musica e testi è di quanto più sorprendente e raffinato si possa trovare oggi». «”Formigole” è un disco che sa accompagnare la vita di chi riesce davvero a “sentirlo”, a entrare nel mondo malinconico eppure così familiare del cantore triestino; “Formigole” è decisamente uno dei dischi più belli che si siano mai sentiti da vent’anni a questa parte e non solo in Italia», scrive Alberto Trovato su Indie Roccia. E ancora, Barbara Santi su Rumore: «Un timbro che ha poteri terapeutici, fuori dal coro, che non vuole mai imporsi e proprio per questo investe di brividi chi lo ascolta. È incredibile quanto il dialetto triestino, in cui si esprime Bruna per senso di appartenenza e onestà, possa assumere toni familiari ma anche universali». Il mensile Blow Up: «Questo esordio rivela agli ascoltatori un talento cantautorale assoluto»; «La sincerità di Bruna nell’interpretare queste canzoni è talmente forte da fare quasi male»; «Questo album va preso per intero come un gioiello di poesia in musica, e Toni Bruna va segnalato tra i nuovi talenti della scena cantautorale italiana in posizione di preminenza assoluta».
Commenta Massimo Necchi dell’etichetta Niegazowana: «Il bilancio è assolutamente positivo. Le recensioni e le reazioni ai concerti, sia da parte degli addetti ai lavori sia dei semplici appassionati, sono state sempre ottime. Anche per quel che riguarda le vendite, seppur il mercato discografico sia ormai agonizzante, abbiamo avuto ottimi riscontri. Noi abbiamo sempre creduto molto nel disco e nell’approccio di Toni Bruna. Ci siamo resi subito conto, dai primi ascolti e dai live a cui abbiamo assistito, che eravamo di fronte a un artista sincero e puro. Certo è che quando poi il disco viene pubblicato e comincia a girare fra le mani degli ascoltatori e, soprattutto, dei recensori un po’ di timore c’è. Ma questa volta il disco è stato decisamente capito. In questo periodo vorremmo riuscire a trovare una struttura con cui collaborare per aumentare il numero dei live e cercare di far conoscere il progetto il più possibile. Per quel che riguarda il secondo disco se ne sta già parlando; senza fretta e senza scadenze fissate, ma sicuramente si farà».
La scelta del dialetto non è stata un limite… «La lingua non è stata un vincolo, anzi…», spiega Toni Bruna «Quando ho cominciato a cantare in dialetto ho pensato che non mi ero mai sentito così libero di poter dire quello che volevo, mentre prima quando cantavo in inglese o in italiano avevo sempre la paranoia della pronuncia, di chiedermi se fosse giusto quello che stavo dicendo (go sempre avù sta para, e inveze col triestin no la go). Con il triestino non ho questi dubbi, perché dico quello che voglio (anche se no xe secondo el dizionario del triestin me frega poco). Mi sento totalmente libero di fare quello che voglio con la lingua. Questa libertà la gente la percepisce in qualche modo».
Ti chiedono di spiegare testi, parole?
«All’inizio qualcuno ha provato a chiedermi spiegazioni e traduzioni, (e mi – perché son mona – me go lassà inzinganar); ho cercato di farlo, con risultati veramente tragici e allora ultimamente mi sto rifiutando. Se mi chiedono dei testi, mi rifiuto. Ho trascritto i testi con delle note a piè pagina e secondo me è un giusto compromesso, note che spiegano una certa situazione o delle parole chiave. Sono contrario a spiegare il testo della canzone, a meno che la cosa non mi venga spontaneamente ai concerti fuori Trieste, ma non è mai una spiegazione/traduzione. Si tratta sempre di qualcosa poco leggibile o che comunque non passa per la razionalità, anche la spiegazione fa parte della canzone. È come spiegare le barzellette: non fa ridere».
D’altra parte io stessa avevo travisato delle parole, ad esempio al posto della “muffa sul pan” avevo capito “muffa suta” (muffa sul pane/ muffa asciutta) e mi piaceva molto l’immagine da me creata!
«Mi è capitato mille volte di farmi dei viaggi con l’inglese (farme dei viaggi che po no iera! Che iera molto più bei eh)… viaggi che non c’erano nel testo, che poi spesso sono molto banali (che dopo te li leggi e te disi: ma no??! Ma perché? No volevo saver… me go rovinado la canzon per sempre). Le migliori sono quelle che sentivi quando eri piccolo e proprio non capivi niente, neanche una parola! Ecco, penso sia la sensazione che prova una persona quando sente il triestino. Ti fai un viaggio tuo che può essere qualsiasi cosa. Qualcuno ha scritto una roba tipo: “Baiamonti: mi immagino una ragazza sulla riva di un lago, specchiandosi al tramonto”… uh! Sì sì, sul depurator altro che lago! Tanti anni fa lavoravo in un cantiere a Muggia e partivamo da Baiamonti, dal famoso bar coi vetri onti che è all’inizio della via, verso al cavalcavia e aveva un suo fascino. Trovarsi lì all’alba per andare a lavorare e beccare questi che bevevano whisky di marche pessime a quell’ora era allucinante».
Una volta go scritto (e xe finì nel libro de Ricky Russo Per Bon, For Real): “Baiamonti xe una via del mio rion, Chiarbola a Trieste. Una via brutta, fumigada, con dei tristi alberi spelachiadi in tutte le stagioni, cagade de can in ogni dove, spuza de feriera, case popolari, vece istriane incativide, cesoti ipocriti e una pompa de benzina abandonada. Che Toni Bruna gabi tirado fora una canzon bellissima da sto squalor, me commuovi. Qua son nata, e qua spero de no morir”…
«Xe una strada brutta effettivamente, desso xe un po’ meio perché i la ga un poco restaurada, l’immagine della canzon xe nata tempo fa co lavoravo come pitor de muri».
Via Baiamonti negli anni 80-90 era zona di tossici. C’era una concentrazione di spacciatori allucinante. Era davvero un ghetto. Adesso è migliorata.
«Ah cussì te me conti? Spacciatori. Mi in quei anni là no frequentavo la zona. Chissà perché sarà che te metti gente disperada tutta insieme in uno stesso quartier e vara ti, no xe che vien fora robe bone! Strano no? Ma come mai!».
Ho letto delle recensioni in cui ti definiscono “cantautore friulano”, lo stesso Blow Up addirittura ti associa ad Elsa Martin, che canta appunto in friulano.
«Mi hanno dato del cantautore friulano e qualcuno se ne è offeso, mi ha scritto delle mail. Io non sono per niente campanilista quindi non me la sono presa (no me son girà gnanche indrio), qualcuno che non è di qua pensa che il Friuli sia tutto il Friuli Venezia Giulia, come del resto tanti pensano che l’Emilia sia l’Emilia Romagna ma tu prova a dare ad un romagnolo dell’emiliano! E quindi me xe rivade mail de gente che me ga dito: ciò ma comeeeee? Te ghe ga dito? Te ghe ga scritto?! A parte queste imprecisioni, poi ci sono delle recensioni che a leggerle mi sono emozionato proprio».
Dal vivo fai dei pezzi che hanno una vena comica che su disco non c’è… in futuro li inserirai? (Ad esempio: “Per andar al bagno a Barcola/ Per andar in osmiza a Malchina/ te ga comprà el SUV…/ co te parcheggi sto SUV no passa più nissun” o “People of Pipolo”, “Ah no Poe ciò”, “e come disi picio i francesi/ petit, petit, petit… petitelo intel…” etc).
«Quando ho cominciato a guardare video su YouTube ho scoperto il lato comico di Tom Waits, che nei dischi in studio non c’era. Il tipo spara una cazzata dietro l’altra, da morir dal ridere. Io mi sento così a disagio sul palco, che devo dire stronzate per far ridere la gente. Invece in studio sono solo, registro da solo perché così riesco ad essere più me stesso, credo. Non devo preoccuparmi degli altri e quindi il disco viene fuori più serio, ho anche il coraggio di fare le cose più serie. Dal vivo mi fa più paranoia mettere i pezzi più lenti, intensi… cerco di far quelli più scanzonati».
Ti senti più a disagio quando suoni a Trieste o altrove?
«Non è un problema geografico, è un problema di pubblico. Mi piacciono le situazioni in cui si crea un dialogo tra noi e il pubblico. Mi piace quando la gente partecipa, fa domande, interrompe, si chiacchiera. Mi piace che sia una cosa partecipata. Non mi piace quando vedo una rockstar sul palco e un abisso con il pubblico. Mi fa impressione quando vedo gruppi anche minori che vanno sul palco con gli occhiali da sole, non guardano in faccia nessuno… ma chi te caga! Va ben, sona, fa el tuo, ma comunque xe dela gente che xe venuda a scoltarte… è come se non comunicassero con la gente perché si sentono ad un livello superiore. Forse è una cosa utopica ma mi piacerebbe poter mantenere un rapporto, fare concerti in posti che hanno dimensioni consone in cui riesci a mantenere un contatto con la gente».
La tua idea di portare la musica in posti inusuali? È una cosa che senti ancora?
«La sento sempre più forte. Suonare nei locali, ai livelli a cui sono io è spesso uno stress, le situazioni non sono mai come tu vorresti. Mi piacerebbe, ma per portare i concerti in situazioni inusuali fuori Trieste, dovresti conoscere il territorio.
Ad esempio abbiamo suonato al Gopcevich ed era una cosa che volevo fare da anni, suonare in un atrio di questi vecchi palazzi. Era all’interno di un ciclo di conferenze del gruppo 85 per il forum Tomizza, sono un bel gruppo di gente, si propongono di instaurare un dialogo reale al di là della retorica tra le varie etnie presenti sul territorio tra l’Istria, la Slovenia e in Italia, in queste zone di confine. Mi hanno invitato dopo una conferenza e abbiamo suonato nella tromba delle scale, in atrio. La gente stava sulla prima rampa e nell’atrio e avevi un riverbero verticale. Nei pezzi corali, in cui poi c’è un silenzio sentivi il suono che viaggiava nella tromba delle scale. Figon, se podessi fazessi solo concerti in posti cussì. Contamini degli spazi in cui la gente non se l’aspetta, non tanto per quelli che vengono a sentirti che comunque si ritrovano in una situazione stramba, ma anche quelli che capitano per sbaglio, capti che è una cosa insolita, c’è un’energia diversa. È come quando salta la corrente e la gente si ferma un attimo. Io sono un grande fan dei black out».
I concerti più riusciti ultimamente?
«A Radio Popolare di Milano è stato forte, Niccolò Vecchia è in gamba e noi abbiamo suonato bene. Io non sono quasi mai contento dei concerti. Ai Magazzini Cornelia di Trieste abbiamo fatto un bel concerto. In quelle situazioni tipo i cori al telefono (con Ale che era ancora in pizzeria), per me è il massimo, impagabile, cose che vengono spontaneamente. Anche a Milano in una casa abbiamo fatto un bel concerto. A Torino eravamo un po’ ingessati. Sul palco non ci sentivamo bene. Se non hai un impianto figo, il tuo fonico, ti ritrovi a combattere con spie, feedback e mille preoccupazioni che ti distolgono dal concerto. Non riesco a concentrarmi sul suonare, mi dà fastidio che magari si sente male. Poi ti chiedi come si sente fuori. Un po’ me la sono messa via che non saprò mai com’è. Però mi rimane questa cosa, che sono preoccupato per l’acustica.
Alla Scighera a Milano circolo Arci sono davvero in gamba, il posto è bello, impianto bello, loro riescono a tirare fuori il massimo da quello che hanno, hanno un atteggiamento super positivo e professionale rispetto a quello che fanno. Anche a Roma al Forte Fanfulla e all’Angelo Mai sono bene organizzati, la situazione è bella… difficilmente ho trovato posti brutti in Italia. Non è male in giro, rispetto a Trieste. Qui in città, non so se sia un trattamento che riservano a noi triestini, ma non trovo tanta professionalità. Fuori ho trovato situazioni occupate dove la gente lo fa perché ha voglia di farlo non per il denaro e sono tutti molto più motivati. Non prendi soldi ma neanche i volontari li prendono. A Torino abbiamo suonato con Gionata Mirai e abbiamo fatto prove in un asilo occupato e ci ha accolti il triestino Novak con un “triestini de merda”! Poi ci ha fatto il tè, ci ha acceso il fuoco perché si gelava. Lui è uno di buon cuore».
Quando vai via cosa ti manca di Trieste?
«Trieste xe strategico per andar in Carso, mi no son sai de notolade ma l’altro giorno son tornado alle 7 de mattino de domenica, città deserta, qualche finì che ancora se grampava sul muro terminale, alba, estate, zavate e maieta. Me son ricordà della prima volta che go visto Trieste all’alba, iero muleto e se gavemo calà zo con un mulo più grande che gaveva un Oxford, zo per Scala Santa in 5 su sto Oxford, tutti pozai un sora l’altro, a motor spento pian pianin semo rivadi tipo in un’ora in città, senza che i nostri sappi niente, mi gavevo 12 anni penso e go visto l’alba a Trieste e me ga tropo flescià, penso che sia quel che me manca. Me manca la Trieste dei anni 80 più svoda, decadente adesso xe troppo pettinada per i miei gusti».
Quindi hai un attaccamento fisico, ai luoghi più che alle persone?
«Ho un attaccamento anche alle persone, ma le persone che conosco e a cui voglio bene sono sparse in giro per il mondo. Un luogo non mi rappresenta dove ho gli affetti. Mi sono reso conto, mio malgrado, che ho un attaccamento proprio fisico al luogo geografico. Al Carso. Ho un legame con il bosco, se ho tempo vado nei boschi, cammino, sto lì. Riesci a sconfinare in territori poco frequentati. All’alba ogni posto ha il suo perché. In orari quando non c’è gente. Non ho un posto preferito. Mi muovo a piedi, parecchio. In città mi piace la zona Viale Alto, c’è qualche buon baretto sincero senza grosse pretese, dove puoi scendere in ciabatte e bigodini, bon mi bigodini no me metto ma se li gavessi podessi farlo tranquillamente e inveze in posti come in Cavana oggi no te pol più far perché te scendi e xe tutti licai e inveze qua se conserva, xe ancora tante botteghe, xe el falegname, el fabbro, xe una ferramenta seria e xe robe importanti. Co la città se svoda me piasi ovunque».
Prossimo disco?
«Fare un disco è un processo magico e misterioso, spero di scrivere canzoni in questi quattro mesi in cui sarò in California, il mio intento è quello. Vorrei mettere su disco anche le canzoni che porto dal vivo e non ho registrato “Iazo”, “Elvino”… di idee ne ho un botto, può essere che prendano forma oppure no. Vivono di vita propria. Da una parte mi spaventa. Farne un altro dopo tutte queste recensioni positive… io che sono fragile, di testa ho paura che mi condizionino la creatività. Confido che nel momento in cui sono lì, farò solo per me stesso. Vorrei fare una cosa diversa dalla precedente. Ad ottobre torno in Italia e spero di suonare in giro».
Toni Bruna in California! Tutte le foto sono di Janine Mapurunga
tutte le foto sono di Janine Mapurunga
Elisa Russo, Il Piccolo 08 Luglio 2013