I Tre Allegri Ragazzi Morti presentano il loro concerto “Unplugged” e venerdì fanno tappa a Udine (unica data in regione), al Teatro San Giorgio. Voci, due chitarre ed un basso acustico, spazzole sulle pelli ed una scaletta ricca di classici del trio mascherato e di cover preziose. Così si presenteranno sul palco Davide Toffolo, Enrico Molteni e Luca Masseroni, coadiuvati dal quarto allegro ragazzo morto Andrea Maglia.
Un tour acustico immaginato per cantare a squarciagola, un esorcismo collettivo contro i problemi della quotidianità che per la prima volta viene portato in giro per tutto lo stivale. L’unplugged al Teatro Civico di Cagliari (l’8 agosto 2014) è stato registrato e molti avranno già avuto modo di ascoltare quell’incisione sul cd allegato al volume “Vent’anni di comunicazione visiva nel laboratorio di Tre allegri ragazzi morti” uscito il 5 novembre 2014 per Rizzoli-Lizard. Spiega Davide Toffolo: «Abbiamo fatto una data di prova la scorsa estate a Cagliari… il risultato è stato particolare: in un concerto di questo tipo il pubblico ha un peso forte. Le canzoni prendono un’altra aria, più concentrata sui testi, sulla cantabilità e diventa una specie di festa. Cercheremo di capire chi è più intonato in giro per l’Italia: il pubblico di Cagliari era intonatissimo per esempio! Questo tour sarà il nostro saluto prima di sparire per un po’ per realizzare il nuovo album».
Anticipazioni sul disco?
«Uscirà più o meno a tre anni dal precedente. Le canzoni ci sono. O meglio: quando si comincia un disco si dice “andiamo” perché la scrittura sembra quasi pronta ma poi certe cose si definiscono facendolo. I dischi sono dei viaggi che fai durante e non puoi progettare tutto prima».
Molti artisti hanno un rapporto conflittuale con la propria città o regione. Per voi com’è?
«Con la nostra Pordenone il rapporto è un po’ conflittuale, suoniamo quando possiamo ma non è facilissimo… Con Trieste abbiamo un rapporto speciale, fin dagli inizi quello che abbiamo proposto è stato accettato e abbiamo sempre fatto dei concerti coinvolgenti. Questo inverno abbiamo fatto un concerto bellissimo a Monrupino, di mattina, in una giornata d’inverno pazzesca eppure c’era tantissima gente che aveva voglia di incontrarci e sentire la nostra musica, è stato speciale. A Udine è una bella occasione: avevo visto un concerto dei CCCP al San Giorgio ed è stato molto bello, è uno spazio specialissimo per un certo tipo di concerti. E ho chiesto esplicitamente di suonare lì».
Siete una delle poche band che negli anni non ha mai cambiato formazione (a parte l’innesto di un quarto elemento). Forse tre è il numero perfetto?
«Il fatto di essere in tre, provenienti da generazioni diverse (non siamo coetanei) ci ha dato la possibilità di essere sempre attivi anche quando uno si addormenta: c’è un anno in cui uno è più lucido, un anno in cui uno è più stanco perciò di solito quando si addormenta uno se ne sveglia un altro. Gli ultimi anni sono stato sveglio io: forse è arrivato il mio momento di addormentarmi, tra un po’! I gruppi sono delle super identità, i TARM non sono la semplice somma di me, Luca ed Enrico. Sono qualcosa di diverso, di più grande».
Ossessione dei numeri: conta dei like sui social network, delle visualizzazioni… Voi come la vivete?
«È un’ossessione che c’è e che diventa ancor più ossessivamente esplicita quando è legata alla rete. Ogni tanto senti che c’è qualcuno in crisi da like, che ha il bisogno di sentirsi dire “vai, sono con te!”: quella è una cosa compulsiva ed è legata ad un modo negativo di vivere la rete. Per quanto riguarda invece la musica, il desiderio di piacere il più possibile è una concezione un po’ lontana da quello che abbiamo sempre fatto noi. Abbiamo creduto in un’idea, che era anche di aggregazione ma non di massa. A noi interessava costruire la nostra cosa e se attorno – come poi è successo – si formava un’aggregazione tanto meglio, ci ha dato la forza per continuare ma non era il nostro obiettivo. Però insomma, ho imparato a diventare sensibile anche al dramma dei like, perciò se volete andare sulla mia pagina e mettere dei like io sono contento!».
Ai vostri esordi invitavate caldamente il pubblico a non fotografarvi. Oggi come gestite la cosa?
«L’anno scorso abbiamo fatto vent’anni di carriera e abbiamo fatto due tour. Il tour di aprile era il tour del ’94 e non c’era la possibilità di fotografare. Quest’estate abbiamo fatto il concerto antologico e ad un certo punto si arrivava al ’94. Io mi toglievo la maschera e chiedevo di non fotografare. Nel momento in cui qualcuno ha fotografato io ho reagito come reagivo nel ’94: ho fermato il concerto. È successo in un po’ di piazze ed è stato divertentissimo perché molti ragazzi erano disperati perché quel repertorio vecchio non è che lo suoniamo sempre e loro avevano voglia di sentirlo però al tempo stesso ci hanno fatto i complimenti e hanno capito la nostra proposta di vivere la musica in un certo modo, con rispetto. Certe cose si possono ancora recuperare come possibilità di ragionamento. L’idea iniziale era quella di dar un modo per pensare che la trasformazione di un uomo in una merce attraverso l’uso dell’immagine poteva essere messa in discussione. Questo discorso è ancora attivo nei TARM; anche nella difficoltà di difendere la propria faccia dai fotografi e dai telefoni cellulari. Importante è che ci sia una riflessione».
A febbraio è uscito (singolo e video) di una cover de Il Pan del Diavolo “Vivere fuggendo”.
«Loro sono uno dei gruppi che ci piacciono di più, il pezzo è molto bello. Sono uno dei gruppi acustici più bravi che ci sono e allora portiamo anche dal vivo la loro cover».
Novità nella sua attività di fumettista?
«Da maggio usciranno mensilmente in edicola (12 uscite) le ristampe di tutto quello che ho scritto e disegnato negli anni ’90: la Panini ha ricomprato tutti i diritti dei miei fumetti “Piera degli Spiriti”, “Fregoli” etc… e li ripubblicano colorati, quindi stiamo lavorando alla colorazione. Un lavoro impegnativo, grosso».
Un disco nuovo da sentire?
«Consiglio un disco che bisogna ascoltare da soli. È lungo, corposo. “La Fine dell’era della comunicazione” degli Uochi Toki. Disco doppio: uno rap più tradizionale ed uno siderale, suonato da robot quali loro sono».
Elisa Russo, Il Piccolo 09 Aprile 2015