TRIESTE CALLING THE BOSS DAY 3: intervista a FABIO TREVES

Per la terza serata del Trieste Calling The Boss, al Miela dalle 20.30, c’è la mitica Treves Blues Band, Graziano Romani che presenta in anteprima mondiale il disco «Soul Crusader Again: the songs of Bruce Springsteen» in cui ri-arrangia in chiave soul dei pezzi nascosti della discografia del Boss, l’apertura del duo acustico Frank Get ed Anthony Basso. L’avventura della Treves Blues Band inizia nel 1974 quando l’armonicista milanese Fabio Treves decide di partire con una “missione impossibile”: divulgare i valori del blues, la sua storia e i suoi grandi interpreti. Tra i tanti traguardi in una carriera di più di quarant’anni, l’ultima in ordine di tempo è stata aprire per il concerto di Springsteen al Circo Massimo, Treves, detto il “Puma di Lambrate” racconta:

TBB al Circo Massimo - Foto Ruggiero«Siamo stati invitati al Miela da questa associazione di springsteeniani che ci hanno visti proprio a Roma prima del Boss il 16 luglio, fa molto piacere partecipare a questa rassegna importante a livello internazionale. A volte è più facile arrivare all’estero che non a Trieste, e per noi è una città importante, con un pubblico dal palato fine. Suonare prima del Boss è stato coronare un sogno segreto. Il giorno dopo quel concerto, alla stazione sono stato fermato da giovani olandesi, tedeschi, inglesi che mi riconoscevano e mi facevano i complimenti, poi ci sono arrivati tanti messaggi su Facebook ma soprattutto abbiamo ricevuto i complimenti del Boss, e sono veri, fatti da una persona sincera, grande…».

A Trieste siete passati raramente.

«Ho suonato a Trieste solo un paio di volte: nel 1985-86 in Piazza Unità e una ventina d’anni fa in un locale… è sempre un piacere enorme tornare, anche perché i miei nonni paterni, i Treves, erano triestini. Mi dicono che sono triestino dentro, perché sono cocciuto, uno a cui piace gustarsi le cose solo dopo aver lavorato per ottenerle, che è la quintessenza del blues, dove nessuno ti regala niente, ti devi conquistare le cose con il cuore e la passione, l’empatia con il tuo pubblico».

Una lunga carriera blues la vostra.

«Sono passati più di quarant’anni dal nostro esordio, è stato un cammino importante, sempre indipendente, il mio motto è: “chi fa da sé fa per Treves”. Quarantatré anni di carriera “avanti e indrio, avanti e indrio” sulle strade del blues. Il blues è la musica di tutti i giorni, è la musica che ha dato origine a tutti gli altri generi: il jazz, il rock’n’roll, il pop, il rhythm and blues».

Il concerto al Miela?

«Faremo ascoltare la versione 2017 della Treves Blues Band che è bella perché composta da persone che vanno sul palco per darci dentro e far divertire la gente. Sarà un concerto all’insegna del coinvolgimento, delle ballate tradizionali, del blues più energico, dei lentoni dello slow blues più strappalacrime, divertimento e allegria, musica della libertà perché nel blues si sono superate le barriere razziali, tante discriminazioni… il blues è una musica di pace e mai come in questo momento ce n’è bisogno e sono contento di portare questi valori a Trieste».

Lo stato di salute del blues in Italia?

«Il blues in Italia sta bene, ci sono tante rassegne, band emergenti, conosco tanti gruppi giovani. Non faccio nomi per non far torto a nessuno. Essere considerato quello che ha aperto una strada mi fa molto piacere».

Treves-Zappa -Foto Galimberti 1Tra i suoi tanti incontri, quello con Frank Zappa.

«Non ho mai incontrato nella mai vita un artista, anzi un uomo così aperto, aveva una testa a 360 gradi, poteva parlare di pittura, di televisione, di cinema e altro, il genio di Baltimora… un personaggio di un livello artistico assoluto, ma ancor prima umano, era troppo avanti. Nella sua autobiografia mi ha citato come un anarchico. L’ho incontrato per la prima volta nel 1988 e in poco tempo è riuscito a capire tutto di me. M’invitò a suonare sul palco con lui a Milano, ed io ben sapevo che non portava mai nessuno eccetto la sua band; devo aver fatto breccia nel suo cuore perché poi mi ha invitato qualche giorno dopo a Genova. Ho il ricordo di una persona meravigliosa, educatissima, molto esigente dal punto di vista musicale, scrupolosissimo professionista, aperto alla battuta, dissacrante. Qualche anno dopo ho conosciuto la moglie e i figli e mi hanno detto “finalmente ti conosciamo” e per un povero armonicista di Lambrate è una soddisfazione grossa, così come lo è poter dire di essere l’unico italiano che ha suonato con Zappa».

E non ha mai pensato di trasferirsi all’estero?    

«Quando mi è capitato di suonare a Memphis, a San Francisco, a New York con dei grandi della musica internazionale mi ha fatto piacere ma non ho mai pensato di trasferirmi. In Italia non puoi campare di blues, ma per me è una passione, quindi ho sempre fatto anche un altro lavoro. Ho tenuto duro con il blues e mi ha dato tante soddisfazioni. Non baratterei l’aver suonato con Zappa e aperto per Springsteen con un Sanremo o un talent. C’era da fare un lavoro qui in Italia: portare il blues alle masse, fare i concerti, la radio, i libri, gli articoli, c’era tanto lavoro da fare per il blues, qui. E poi mi hanno definito il padre del blues in Italia, come potevo andarmene all’estero? Ho fatto concerti per delle nobili cause, non mi sono tirato indietro. Ora sto raccogliendo i frutti di questo impegno, e quando trovo dei giovani che magari hanno sentito i miei dischi dal padre sono contento. Anche il Boss è del ’49 come me, “classe di ferro” come mi ha detto lui».

E le collaborazioni italiane?

«Parallelamente alla mia attività nel blues, c’è anche la soddisfazione che molti artisti italiani hanno chiesto la mia armonica: Mina, Celentano, Bertoli, Branduardi, Cocciante, Finardi, Articolo 31 non fanno blues ma avevano bisogno di un’armonica che evoca degli stati d’animo, delle atmosfere… Cerco di entrare nel pezzo e suonare con il cuore ancora prima che con la tecnica.

Finardi è il mio blues brother, quest’anno abbiamo festeggiato cinquant’anni di amicizia. Ci siamo conosciuti nei contest di band al liceo, abbiamo condiviso momenti importanti, siamo stati assieme sull’isola di Wight. Sono orgoglioso di essere suo amico. Negli anni Sessanta a Milano eravamo degli alieni, andavamo nei negozi a cercare dei dischi e il commesso strabuzzava gli occhi e dovevamo andare in Svizzera a comprarli. Adesso è tutto a portata di click».

 

Elisa Russo, Il Piccolo 29 Aprile 2017

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