«Sono affezionatissimo al Friuli-Venezia Giulia, ho tanti amici in zona. Suonare al Nuovo Giovanni da Udine è sempre una grande emozione perché è un luogo amico della musica, è stato costruito in maniera che onora il suono, rende facile l’amplificazione. Ricordo concerti sempre molto belli e partecipati lì». Il tour di Vinicio Capossela “Con i tasti che ci abbiamo – Tredici canzoni urgenti a teatro” fa tappa al teatrone venerdì 24 novembre alle 21, unica data in regione. L’artista presenterà il suo ultimo album “Tredici canzoni urgenti”, vincitore del Premio Tenco, accompagnato da Andrea Lamacchia al contrabbasso, Piero Perelli alla batteria, Alessandro “Asso” Stefana alla chitarra, Raffaele Tiseo al violino e direzione musicale, Daniela Savoldi al violoncello e voci, Michele Vignali al sassofono.
Capossela, che spettacolo porta?
«È un concerto che prende corpo dal nuovo disco, brani di carattere civile che rispondono a un fenomeno:come diceva Benjamin “Quando la politica diventa spettacolo – spesso incivile – allora lo spettacolo deve diventare politica civile”. Allo stesso tempo è un concerto che ha a che fare con la sospensione dell’incredulità, quindi col mondo dell’immaginazione, ovvero la nostra grande opportunità di trasformare i limiti in possibilità».
Perché “Con i tasti che ci abbiamo”?
«Idea nata da un pianoforte che i miei nipoti hanno rovinato suonandolo con le bacchette della batteria: sono rimasti solo alcuni tasti. Di quel limite ho fatto una possibilità. Quando mancano dei tasti dal piano bisogna cercare melodie con quelli disponibili. Il nostro concerto vorrebbe essere un invito a fare con quello che si ha, senza paura di sbagliare».
In scaletta?
«Le tredici canzoni urgenti, poi altri classici del repertorio (“I musicanti di Brema”, “Marajà”, “L’uomo vivo”), e la parte finale è dedicata al luogo in cui mi trovo. Spesso ci sono degli ospiti, per Udine ancora non è previsto nessuno ma magari ci verrà in mente nei prossimi giorni».
Nell’ultimo album tratta temi come la guerra, la violenza di genere, la condizione carceraria. Tutto drammaticamente attuale?
«Purtroppo. I conflitti in corso sono aumentati. Qualcosa di inaccettabile, un’orgia di violenza e di morte, un terribile insulto alla vita. Cresce solo il fatturato dell’industria delle armi. Arrivano più risposte dalla società civile che dalla politica».
La musica cosa può fare?
«Un disco non serve a risolvere ma magari può renderci consapevoli. Il live non è un comizio, è un luogo abitato dal sogno. I concerti sono delle ritualità che non possono prescindere da chi partecipa. Il mio è un concerto politico nel senso di cosa detta in pubblico, collettiva. Ma non è un manifesto, l’elemento onirico è importante».
Un messaggio più civile che politico, il suo?
«La musica si fa insieme, ogni canzone viene completata dall’ascolto, l’esecuzione dal vivo, il fatto di essere insieme è un fatto anche questo civile, corale, organico. La stessa scenografia che abbiamo pensato è una specie di anfiteatro, quasi a completare l’abbraccio del pubblico. Lo spettacolo inizia da un divano, su cui ci siamo un po’ tutti seduti e che è una sorta di totem della nostra condizione. Da lì ci rialziamo e affrontiamo una lunga carrellata di canzoni che hanno a che fare con diverse urgenze a partire da quelle che abbiamo dentro, perché spesso il nemico lo si pensa sempre fuori, ma invece il nemico, le cose sbagliate, le conseguenze della nostra cattiva educazione a volte sono dentro di noi».
Elisa Russo, Il Messaggero Veneto 19 Novembre 2023
Il Piccolo 21 Novembre 2023

