WATERFACE AL TEATRO MIELA L’11.05.17

waterface-webGiovedì alle 21 approda al Miela Waterface, il recital musicale dedicato a Neil Young e agli anni della sua cosiddetta “trilogia oscura” che ha debuttato con successo nel 2015 ottenendo la prestigiosa medaglia 3D dello Smiting Festival di Rimini (riconoscimento consegnato l’anno precedente a Terry Gilliam). Da un’idea di Pasquale Defina e Marco Grompi, autore di diverse monografie e traduttore italiano dell’opera omnia di Young che ha poi scritto, prodotto e diretto lo spettacolo assieme al giornalista e scrittore Pier Angelo Cantù. «Non è uno spettacolo di cover, né un concerto tributo. Non è neanche un semplice reading. È un viaggio che il pubblico fa con noi, nell’universo oscuro di uno dei più controversi e influenti artisti della musica rock. Un racconto teatrale con contributi video rarissimi e canzoni suonate dal vivo», spiega Cantù; sul palco accanto a lui (nel ruolo di narratore e protagonista della vicenda), le voci e chitarre dei Rusties: Grompi e Osvaldo Ardenghi, e la gloriosa sezione ritmica dei Ritmo Tribale (e NoGuru) Andrea “Briegel” Filipazzi al basso e Alex Marcheschi alla batteria. Proprio con la rock band milanese, i due tribali suonarono al Miela nel novembre 1991, per un concerto sold-out. Ancora Cantù: «Questa sezione ritmica collaudatissima ci ha permesso di azzardare qualche arrangiamento: qualche canzone da acustica l’abbiamo trasformata in elettrica. È un recital d’impatto, sul pubblico si scarica un’energia tipica del rock. Ci siamo permessi di interpretare le canzoni in chiave più rock proprio per la natura della band: sul palco suoniamo tutti e 5. Non abbiamo avuto bisogno, però, di licenze poetiche perché utilizzando le parole di Neil Young sono usciti dei quadri narrativi già molto efficaci».

La storia di Waterface ha inizio all’indomani del grande successo mondiale ottenuto con “Harvest” (1972) e termina con la pubblicazione di “Zuma” (1975), passando attraverso crisi personali e artistiche, traumi e lutti. Per Neil Young è un’altalena di eventi, dai milioni di dischi venduti, l’acquisto di un ranch, il matrimonio con un’attrice famosa e l’arrivo del primo figlio, passando per la morte per droga di amici vicinissimi, i problematici rapporti con le varie band che si susseguono al suo fianco (dai Crazy Horse a Crosby, Stills, Nash & Young), le tournée catastrofiche e l’apparente incomunicabilità con un pubblico spesso ostile. Su tutto, aleggia l’inquietudine e la voglia di cambiare per contrastare il rischio di rimanere intrappolato nei meccanismi del successo e dello star system: «Potrei anche fare il seguito perfetto di “Harvest”. Lo so, sarebbe un successo, ma sarebbe anche qualcosa che tutti si aspettano; tutti penserebbero di capirmi e di inquadrarmi per ciò che sono, ma io mi chiuderei in un angolo da solo. Non me ne frega niente se siete cento o cento milioni là fuori. Non fa alcuna differenza. Sono convinto che ciò che faccio e ciò che vende sono due cose completamente separate. Se s’incontrano è solo per una pura, indecifrabile, coincidenza», dichiarava Young nel 1975.

Sullo sfondo di un’America lacerata da conflitti sociali (la guerra in Vietnam, Nixon e lo scandalo Watergate, il processo alla Family di Charles Manson, il dilagare delle droghe pesanti), si dipana un racconto ricco di parole, musica e immagini sulla fine del sogno hippie e sulla difficile conquista di una libertà artistica e di una nuova consapevolezza. Il tutto narrato in prima persona dal protagonista, Waterface (alter ego del cantautore e pseudonimo adottato all’epoca), e dalle sue canzoni, tra le più intense e meno frequentate del suo immenso repertorio.

Racconta Cantù: «L’incubazione di questo spettacolo è stata lunga, 2-3 anni… A me e Grompi ha sempre affascinato quel triennio in cui, all’apice del successo, con “Harvest” in cima alle classifiche di tutto il mondo, Neiil Young ha cominciato a vivere delle sue contraddizioni personali, difficoltà di relazione con la moglie, alcuni amici musicisti sono morti per overdose e lui ha cominciato a mostrare tutte le sue idiosincrasie, anche nei confronti del pubblico, delle case discografiche… Lo ha fatto andando a fondo, passando tre anni molto difficili in cui sono usciti tre dischi che sono poi stati definiti della “trilogia oscura” (“Time Fades Away”, “Tonight’s The Night” e “On The Beach”), in cui ha costruito quello che sarebbe diventato dopo: un artista libero, un punto di riferimento per tutto il mondo della musica rock. Alcuni artisti che si sono ispirati a Neil Young, ad esempio Kurt Cobain, da questo passaggio in profondità non ne sono mai usciti, mentre Young, pur attraversando questo periodo molto buio e difficile ne è venuto fuori con dei dischi luminosi».

Come mai in momenti duri l’artista dà vita a creazioni così intense e convincenti? Secondo Cantù: «Se una persona è spensierata, tranquilla e felice forse fa altro, vive la sua vita e non si mette a scrivere una canzone, l’urgenza ce l’hai quando hai qualcosa di radicato, di duro da esprimere. Viene fuori l’anima e questo piace al pubblico. Il dolore rappresenta qualcosa che ci portiamo dentro».

Elisa Russo, Il Piccolo 10 Maggio 2017

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