What Would Tilda Swinton Do – intervista Tania Kass

What Would Tilda Swinton DoAttrice, musicista, cantautrice e regista: la triestina Tania Polla da diversi anni ha deciso di mettere a frutto tutti i suoi talenti laddove tutto sembra possibile, a New York, dove è conosciuta con il nome d’arte Tania Kass. Il suo curriculum comprende ora una lunga lista di esperienze, dal teatro alle web series e cortometraggi. La novità di questi giorni è in campo musicale e vede la pubblicazione dell’ep d’esordio della band di cui è batterista e seconde voci, suonano quello che definiscono “lazy punk” e si chiamano What Would Tilda Swinton Do. Le recensioni della stampa americana hanno chiamato in causa riferimenti importanti come Nancy Wilson degli Heart, Debbie Harry dei Blondie’s, le Hole di Courtney Love (secondo il magazine Deli). Il gruppo è stato fondato dalla cantante e visual artist austro-canadese Suzie Legér, a cui sono aggiunti poi, oltre a Kass, il multi strumentista Tom Fiset e il bassista Jason Smith, il desiderio è quello di riportare in auge i giorni d’oro delle punk band capitanate da una donna (e tra le loro icone di questi anni citano St.Vincent). L’omonimo ep è stato presentato al Bowery Electric.

«Trieste è una città bellissima e le appartiene un’atmosfera unica rispetto ad altri luoghi. Sono sempre stata affascinata da tutte le vicissitudini storiche del territorio e di come queste abbiano contribuito a creare la personalità, piena di interessantissime contraddizioni, della gente che la popola. Mi ha insegnato in particolare l’attaccamento alla natura e all’arte. Ovviamente mi mancano tantissimo la famiglia e gli amici più stretti (e il cibo!), ma mi manca anche passeggiare per la città, alzare lo sguardo ed accorgermi di quanta bellezza ci sia intorno. Qui a New York c’è una bellezza diversa e a volte bisogna andarla a cercare. Trieste e l’Italia sono un meraviglioso concentrato d’arte che troppo spesso viene data per scontata, quindi non valorizzata come dovrebbe. Tra le cose che non mi mancano di Trieste c’è un po’ di quella mentalità conservatrice che non aiuta ad aprirsi verso l’esterno. La città vanta una reputazione da burbera ma non deve esserlo per forza. Ogni volta che torno a Trieste mi piacerebbe ritrovare una città più accogliente, soprattutto verso persone migranti e la comunità LGBTQ».
Il tuo talento si esprime in forme diverse: cantante, attrice, musicista, regista… Come fai a conciliare tutti gli impegni? Quale disciplina al momento sta assorbendo di più il tuo tempo e le tue energie?
«A volte effettivamente è complicato e molto stancante. È capitato che ci fossero periodi in cui non si muoveva nulla e poi all’improvviso mi sono ritrovata a far parte di tre o quattro progetti nello stesso momento. Purtroppo (o per fortuna?) è nella natura di questo mestiere e le opportunità vanno colte al volo. In questo periodo mi sto concentrando maggiormente sulla mia band What Would Tilda Swinton Do, in cui suono la batteria e canto backing vocals e su un nuovo collettivo Global Artists League, fondato con altri nove membri con cui abbiamo creato il nostro personalissimo teatro/performance space, il Downstage Central Theater a Brooklyn. Recentemente ho cominciato ad ideare una performance basata su canzoni scritte da me che metterò in scena proprio al nostro teatro. Il tutto condito da una buona dose di audizioni».
Vivi a New York da diversi anni: come è cambiata la tua vita professionale, a livello di opportunità, progetti concretizzati, soddisfazioni… (eventualmente delusioni…)
«Direi che è cambiata molto. Sono venuta qui proprio per trovare queste opportunità e credo di poter dire di non essere stata delusa. Certo, non è semplice. La maggior parte delle audizioni non ha esito positivo e lo status di “Immigrante” spesso non aiuta ad ottenere certi ruoli per motivi burocratici. Credo però la soluzione stia nell’andare oltre a queste dinamiche e cercare di crearsi le proprie opportunità. Mi ritengo fortunata ad aver trovato un gruppo di persone che condividono con me la voglia e il bisogno di fare, con le quali ho potuto coltivare progetti di natura diversa che mi hanno dato la possibilità di crescere come artista».
A proposito di delusioni… ho l’impressione che qui da noi le opportunità siano talmente limitate che quando ti va male una cosa la butti in tragedia. A Ny, mi sembra che le batoste siano prese con spirito diverso, perché sai che qualcos’altro può arrivare. Che mi dici a riguardo?
«Hai assolutamente ragione. Rispetto al “gioco” delle audizioni teatrali ad esempio, una delle prime cose che ho imparato è stata di lasciarmi un’audizione alle spalle una volta terminata. È più semplice farlo qui semplicemente perché ci sono molte più opportunità a disposizione per il teatro rispetto all’Italia, quindi vale la pena guardare avanti invece di rimanere attaccati al telefono aspettando che squilli. Anche questo non è sempre facile, soprattutto quando si prende di mira un progetto in particolare, la speranza di farne parte è sempre fortissima, e quando non succede a volte bisogna lasciarsi crogiolare in un po’ di delusione… E poi si volta pagina».
Patti Smith ha detto in questi anni qualcosa tipo “se volete fare gli artisti oggi, non andate a NY”, riferendosi – forse – al costo altissimo della vita. Che ne pensi?
«Non mi permetterei mai di contraddire Patti! Non ha tutti i torti effettivamente… Il costo della vita qui sta diventando sempre più alto, ed è parte del motivo per cui la popolazione più giovane (me compresa) si è trasferita per la maggior parte in alcune aree di Brooklyn, creando d’altra parte una forte concentrazione di energia creativa. Ormai è Brooklyn al centro dello sviluppo artistico di New York, con moltissimi locali che ospitano musica dal vivo e serate per tutti i gusti, spazi underground che danno spazio alla sperimentazione, gallerie d’arte e molto di più. Personalmente trovo che Brooklyn sia anche più vivibile rispetto a Manhattan. Un’alternativa a New York potrebbero essere New Orleans o Nashville. Atlanta invece sta lentamente diventando la nuova Hollywood».
Parliamo in particolare del progetto musicale What Would Tilda Swinton Do: due parole di presentazione. (E il nome come nasce?)
«What Would Tilda Swinton Do è una band autodefinita “Lazy-punk”. È nata dall’attrice e visual artist austriaca Suzie Léger che voleva continuare il progetto musicale che aveva cominciato in Austria prima di trasferirsi negli USA. Suzie è la cantante, io suono batteria e canto, Jason Smith è il bassista e Tom Fiset suona chitarra, sintetizzatore e anche lui canta backing vocals. Siamo all’attivo dal 2016 e abbiamo pubblicato il nostro primo EP in Agosto. Il nome è stata un’idea di Suzie. Anche lei è un’attrice e Tilda Swinton è di grande ispirazone per chiunque faccia parte del mondo dell’arte. Quando le capitava di avere una conversazione con un altro artista alle prese con una situazione complicata, Suzie diceva semplicemente: “Pensa a cosa farebbe Tilda Swinton”. Quando l’ha proposto come nome della band l’ho trovato geniale!».

Due parole anche sull’ep di debutto.
«È stato un parto ma ce l’abbiamo fatta e ne siamo molto fieri! Siamo una band indipendente, quindi tutto quello che facciamo è completamente frutto dei nostri sforzi. L’album ha lo stesso nome della band ed è disponibile su tutte le piattaforme digitali (Spotify, iTunes, Apple Music…). Include cinque brani originali che abbiamo registrato e mixato in tre giorni di fuoco allo Strange Weather Studio a Brooklyn. Ci stiamo attrezzando anche per spedire copie in Europa, sia in formato CD che cassetta, che sono tornate in voga per nostra grande gioia! Quest’estate abbiamo anche pubblicato su YouTube il nostro primo video musicale “Bikerbraut”».
Com’è andato il concerto di presentazione al Bowery Electric?

«È andato alla grande! Abbiamo riempito il locale ed è stato memorabile. Io e Suzie avevamo ideato una serie di proiezioni per accompagnare il concerto e hanno funzionato benissimo. La gente si è divertita, è salita sul palco a ballare e ci ha supportato nel migliore dei modi».

I tuoi impegni nei prossimi mesi?
«Per quanto riguarda la band, in ottobre giriamo il nostro secondo video musicale mentre continuiamo con una serie di concerti fino ai primi di gennaio per poi fermarci per un paio di mesi, scrivere nuovo materiale e organizzare i passaggi successivi. In quanto a progetti personali, proseguo con le audizioni mentre continuo a lavorare con le mie canzoni programmando serate e collaborando con altri scrittori per la costruzione del mio spettacolo. E spero di riuscire a fare il mio annuale viaggio in Italia all’inizio del prossimo anno».

 

Elisa Russo, Il Piccolo 15 Ottobre 2018

tk

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