Benvenuti a Villa Inferno. The Zen Circus e Lombroso hanno regalato una serata di rock’n’roll primordiale tra le più riuscite della rassegna «Made in Miela». Riscaldano alla grande la sala i milanesi Lombroso, il duo composto da Dario Ciffo (voce e chitarra; ex violinista degli Afterhours – e l’influenza della band di Agnelli in questo progetto si sente) e Agostino Nascimbeni (batteria, voce). Ciffo è bravo a tenere il palco, anche nei momenti in cui una dannata tracolla difettosa gli fa cadere la chitarra svariate volte, tanto da far salire sul palco il gentile Enrico Molteni dei Tre Allegri Ragazzi Morti a dargli una mano. Nascimbeni pesta la batteria come un ossesso, tra un volo e l’altro di bacchette anche a gomitate! Il loro live scivola via tra atmosfere e ballate anni ’70, sonorità hard rock, canzoni d’amore. Per chiudere con una cover di «Insieme a te sto bene» di Lucio Battisti e lasciare spazio ai tre folli toscanacci: Appino (voce e chitarra), Ufo (basso), Karim Qqru (batteria). «Un saluto alla stimata Trieste, un saluto ai fantasiosi e bellissimi ragazzi che ci hanno preceduto, questa si chiama Night Extravaganza, quindi si può fare quel che ci pare»: ecco il circo zen di Pisa che si presenta. Un’esortazione ad avvicinarsi e lasciarsi andare (anche a sfasciare il palco assieme a loro), prima di partire come un treno con una carrellata di primi pezzi in inglese. The Zen Circus sono animali. In senso buono. Sono agli antipodi delle pose da indie-rockers. Tanto per dire, sembrano vestiti con magliette che si usavano da piccoli alle partite di calcio in cortile. E già per questo sono fighissimi. Energia punk, nudi e crudi. Zero calcoli, look, strategie. Sono istinto puro. Il pubblico reagisce particolarmente bene alle canzoni con i testi in italiano. Quindi sembra un’ottima scelta quella di uscire ad ottobre con un album tutto in italiano, che si intitolerà: “Andate tutti affanculo”.
Niente meno. La prima canzone italiana in scaletta è «Vent’anni»: «Mi ricordo un piazzale mi vestivo già male convinto che io non ero uguale ma avevo amici daltonici precoci già tristi allegramente fatalisti (…) Avevo tasche stracolme di cazzate orientali ottimismo da spiaggia e coltellini speciali (…) avevo solo vent’anni… io quando avevo vent’anni ero uno stronzo».
«E ora beccatevi un pistolotto esistenziale indie-rock», proclama Ufo invitando tutti a comprare il cd nel “foyer” da non confondersi con il “foie gras”, e poi continua con il suo irresistibile accento toscano e con inevitabile rozza goliardia annessa: «E ora un pezzo che sul disco ha visto partecipare ai cori quelle du zozze delle sorelle Deal, leggendarie componenti dei Pixies e Breeders»; ed è ovvio che “zozze” sia detto con tutto l’affetto del mondo. Parte così «Punk Lullaby», altro pezzo forte di «Villa Inferno». Il concerto continua, senza mezzo calo di tensione. «Torniamo a cantarvi nella lingua madre, e specialmente se la madre è…», appunto: è il momento di «Figlio di Puttana» una canzone che sembra scritta da un Rino Gaetano punk. «Nella testa di mio padre ci sta come un temporale pochi lampi di genio nazional popolare, ci sta un canto di sirena tipo un suono sempre uguale, niente a vedere con la musica…», e poi il finale «Mia madre è strana mi dà del figlio di puttana, e fra un’MS e l’altra…»canta Appino, lasciando poi il coro al pubblico che risponde: «se n’è andata la mia infanzia», e quello che urla di più da sotto il palco è Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Con i tre pisani, Toffolo è stato di recente in Tasmania, invitati da Brian Ritchie al Mona Foma, festival di musica e arti visive. Hanno suonato in strada, a teatro, davanti a folle oceaniche. Hanno insegnato ai tasmaniani le regole basilari del punk busking. Bellissima «Vana Gloria»: «Meglio morto, morto stecchito che piagnucolare da vivo per il paradiso» che si conclude con un urlo disperato «Dio non esiste». Ufo invita tutti ad una festa, riferendosi all’Hipsters. Appino chiede di evitare la menata della messa in scena del farsi chiamare fuori per i bis, e rimane direttamente sul palco per una «Wild Wild Life» da urlo. Il finale di concerto è animalità allo stato brado. Tutti e tre per terra, sudano, si contorcono totalmente indemoniati, Appino sputa, simula un’impiccagione con il cavo del microfono, salta giù dal palco e canta in mezzo alla gente. Moooolto punk.
Nato per questo, senza dubbi.
Quando Appino scende a cantare giù, non posso non pensare all’unica volta in cui ho visto fare qualcosa del genere nella sala del Miela. Ed era Stefano Edda Rampoldi nel 1991, ed era il concerto più bello e intenso mai visto in vita mia, lo ribadisco a distanza di anni e concerti su concerti. E l’energia di Appino mi ricorda quella di eroi d’altri tempi, appunto.
Dopo il concerto, la preziosa Nina Vegas mi aiuta a procurarmi una scaletta. Ufo me ne recupera una, su cui “pare che qualcuno c’abbia pisciato sopra” – mi dice. Ma va bene uguale, tanto sarà la serata dell’acqua. Anche dietro il palco, The Zen Circus mi sembrano incontenibili e colorati.
Fuori stra piove, mentre parlo con Franz Candura passa una macchina e grazie all’acqua accumulata ai bordi della strada mi faccio un’autentica doccia gelata di pioggia. Mi sembra una scena alla Ugly Betty, visto che in questi giorni mi sono divorata le prime due serie in dvd e sono in quel mood. Scene da vetrata in faccia, insomma. E carta vetrata alla stomaco. Allungo la strada per guardare da vicino la pioggia che cade nel mare nero che sbatte sul molo Audace. Penso a qualche musicista che aveva scritto: “Invidio Dio che ha inventato la musica delle maree che muovono l’acqua avanti e indietro”. Penso allo spettacolo e alla discrepanza tra sogno e realtà. Penso che forse il Male non è tanto male, ora. Penso che in realtà, non me ne frega proprio niente. «La mia solitudine sei tu».
(la recensione sopra, in parte solo in parte su Il Piccolo)